martedì 19 giugno 2018

FOREVER AND A DAY

Di Stefano Di Marino



Ammetto di essere stato forse un po’ duro con il precedente apocrifo bondiano di Anthony Horowitz, Trigger Mortis. Non mi era dispiaciuto del tutto ma alcune parti, segnatamente la corsa automobilistica che pure veniva da materiale originale fleminghiano, e il combattimento sul treno finale, non mi avevano convinto. Visto che, bondiani una volta, bondiani per sempre, ho deciso di leggere e valutare anche questo Forever and a Day, sempre nella speranza che siano tradotti entrambi i romanzi in italiano. Per la verità considerata la lunghezza in una collana economica ci starebbero proprio bene, considerato che anche gli apocrifi di Raymond Benson fecero una bella figura. Decisamente l’idea di affidare ad autori famosi gli apocrifi per poi pubblicarli, almeno in Italia, con marchi da libreria e un prezzo troppo alto per quello che il nostro mercato consente, non è stata una grande idea. Sebastaian Faulks scrisse uno dei peggiori apocrifi mai pubblciati, Deaver sarà stato anche un appassionato ma stravolse formato e personaggio tanto da renderlo irriconoscibile. Boyd fece un ottimo lavoro ma Einaudi lo pubblicò togliendo tutto ciò che c’era di’ bondiano’ nella confezione e forse non se n’è accorto nessuno. O forse in Italia 007 è davvero un fenomeno eminentemente cinematografico. Da qui l’idea che in economica potrebbe funzionare meglio. Veniamo a Forever and a Day affidato a Horowitz che, se non lo sapete, è uno specialista di pastiches, trai quali uno holmesiano pubblicato dal Giallo Mondadori, ma anche di altri Mystery ambientati nell’epoca vittoriana. Uno scrittore per tutte le stagioni. Un professionista, diciamo. Credo che la direttiva da parte degli eredi di Fleming sia stata di riproporre per lunghezza, trame e stile qualcosa che poteva agganciarsi al lavoro originale del papà di 007. Non stupisce che anche qui si ritrovino idee di un concept scritto da Fleming e mai utilizzato per una serie di telefilm. Ma è solo un dettaglio in una storia originale che ci riporta al 1953. James Bond ha appena concluso (con qualche ragionevole perplessità) la doppia missione di omicidio che lo inserisce nelal sezione doppio zero, mostrando, con disappunto di M, un’esitazione al momento di tagliare la gola al secondo bersaglio, quasi volesse accertarsi di essere nel giusto. Non è questo che gli viene richiesto. Ma la prova l’ha superata. Resta solo da assegnargli il numero. E quale scelta migliore di 007? Il precedente agente con questo numero, infatti, è stato ucciso con tre colpi di pistola a Marsiglia nel corso di un’indagine complessa che lega un industriale americano della produzione della pellicola per film, un famoso capoclan corso, Jean Paul Scipio e che vede compromessa una ex agente del SOE, diventata una indipendente. Sixtine, donna affascinante, un po’ più anziana di Bond e con molti letali segreti. C’è anche un agente americano, Griffith, che, a ragion veduta, non è Leiter. Come mai il traffico di eroina proveniente dalla Turchia sembra essersi improvvisamente fermato? Tra le letture che lo hanno ispirato Horowitz cita la politica dell’Eroina nel Sudest asiatico di McCoy che fu anche il mio vademecum per Lacrime di Drago. Insomma il romanzo mi ha catturato sin dalle prime pagine. Per il suo Bond ancora giovane, determinato ma forse non ancora ‘sgamato’ come nelle successive missioni, sia in amore che in guerra. Ma la formula ‘amore la sera e morte la mattina’ resta. Gli appassionati troveranno tutto ciò che amano. Le descrizioni minuziose di locali, abitudini, pranzi e dettagli tecnici. Non manca neppure la partita al casinò. L’azione ma anche il sentimento. Il passo è quello, come la scrittura, degli anni ’50. E in questo Horowitz è bravissimo. Il romanzo potrebbe essere stato scritto da Fleming. Ha un po’ (non tanta) azione in più, ma non mancano quei momenti di sentimento e introspezione che si sono persi al cinema. Alla fine un romanzo diverso dalle spy stories che si scrivono oggi. Piacevolissimo, però, per i fan dello spionaggio avventuroso che possono compiere un salto nel passato e godersi in un numero ragionevole di pagine una storia che Terence Young avrebbe filmato con la sua abituale maestria. Se mi è consentita una fantasia nei ruoli di Bond e Sixtine mi piacerebbe vedere con quella straordinaria macchina fantastica che è l’immaginazione e che non bada al tempo, Henry Cavill (che per me potrebbe essere un ottimo 007 giovane) ed Eunice Gayson che ci ha lasciato proprio poco tempo fa ma resterà Sylvia Trench. Forever and a Day

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